La vendemmia: l’antica bellezza della fatica
L’autunno è arrivato, anche se a volte non sembra. A dispetto di temperature ancora piuttosto estive, le viti stanno già cambiando colore e questo significa solo una cosa: vendemmia.
L’allevamento della vite è un processo continuo, che dura dodici mesi e segue un ciclo che ha il suo inizio ufficiale ad aprile, con la nascita dei primi grappolini. Segue la fioritura e poi, finalmente, gli acini si formano e gradualmente si ingrossano; tra la seconda metà di agosto e la fine di ottobre, l’uva è matura ed è pronta per essere vendemmiata.
Croce e delizia di ogni azienda vinicola, la raccolta delle uve segna la fine di agosto e l’inizio di una nuova fase, accolta tutti gli anni con entusiasmo e gioia. É anche il momento della verità, quello dove finalmente si ha la certezza di aver lavorato bene e aver allevato nella maniera migliore le proprie viti.
La vite non si coltiva, la vite si alleva: la cura che va riservata alla vigna è costante e quotidiana. Un vigneto appena piantato non darà frutti per minimo tre anni; è un bambino da far crescere e accudire mentre lo si prepara alla vita adulta.
Figlia della difficoltà, contenta nei terreni meno fertili, la vite può rivelarsi anche molto esigente; per lei, temperatura, condizioni climatiche e umidità sono fondamentali. Va da sé che il legame che si crea con la vite, per agronomi e coltivatori, è quasi simbiotico: alla vite viene tributato un rispetto sacrale e la vite risponde riempiendo di frutti i suoi tralci. E non è un caso che la passione per questa pratica antica e affascinante sia spesso tramandata di generazione in generazione.
Storia e miti della vendemmia
La vendemmia è una pratica antica come la coltivazione stessa dell’uva: le primissime testimonianze di questa pratica risalgono a più di diecimila anni fa. Nell’antica Mesopotamia, quella lingua di terra stretta tra due fiumi da cui gran parte della nostra civiltà nasce, già troviamo le prime testimonianze di vendemmie.
Nella tradizione Romana troviamo invece traccia dei Vinalia Rustica: in pratica, una festa della vendemmia. Per gli antichi, ogni raccolto era sacro, un momento di comunione con la Natura che aveva generosamente concesso i suoi frutti: la raccolta dell’uva, poi, si arricchiva di altri significati, connessi al culto del dio Bacco/Dioniso, dio meraviglioso e terribile, amante della musica e della confusione, capace di azioni tremende come di opere meravigliose.
Secondo Varrone, letterato e agronomo romano, i Vinalia Rustica erano però dedicate non a Bacco, bensì a suo padre Giove: era infatti il potente padre degli dei a sovrintendere la vendemmia, in quanto il vino era l’elemento fondamentale di ogni celebrazione religiosa.
Ovidio lega invece le Vinalia a Venere, attribuendone la nascita ad Enea, mitico condottiero cantato da Virgilio e figlio della dea: e d’altronde già all’epoca l’ebbrezza del vino veniva paragonata a quella dell’amore.
Esisteva un’altra festività collegata al vino, i Vinalia Priora: queste giornate celebravano il vino nuovo e si concludevano con l’assaggio dell’annata neonata. I Vinalia Rustica erano invece una festa delle campagne, in cui si pregava insieme Giove di concedere una buona vendemmia e un generoso raccolto e allo stesso tempo lo si ringraziava per non aver rovinato le vigne con il temporale o la siccità. Solo dopo un sacrificio a Giove la vendemmia aveva inizio.
Anche nei secoli successivi, nelle campagne di tutta Italia, la vendemmia era considerata una festa, un momento di unione tra famiglie confinanti: un rito che sanciva l’inizio dell’autunno e che celebrava l’eterno scorrere delle stagioni, la celebrazione di una fatica che unisce le persone verso un obiettivo comune. Dopo la vendemmia, in Piemonte arrivava la merenda sinoira: un lungo pasto, a metà tra una merenda e un aperitivo, per sancire quel patto semplice di aiuto reciproco.
Infatti, la vendemmia fino a pochi anni fa veniva eseguita a mano: decine e decine di mani che esaminano i filari, frugando sotto le foglie, staccando dalla pianta solo i grappoli migliori e controllando con attenzione la loro salute. Decine di persone che salgono e scendono dalle colline ripide e strette, tenendo sulle spalle i cesti colmi di grappoli da trasportare verso le cantine, dove avviene la pigiatura.
Quello della vendemmia è un lavoro immane, da eseguire nelle prime ore del giorno oppure alla sera, quando le temperature non sono soffocanti: è chiaro che, quando le aziende agricole erano meno strutturate, l’unico modo per concludere la raccolta in tempi brevi era affidarsi alla rete di mutuo aiuto, così salda nei paesini di campagna.
Durante la vendemmia si rinsaldavano amicizie e si rinnovava il patto sociale.
Come si vendemmia oggi
Oggi le necessità delle aziende strutturate hanno parzialmente modificato questo rito. Esistono delle macchine vendemmiatrici, ma solitamente sono usate per grandi vigne in aree meno scoscese e più pianeggianti.
Il procedimento di base resta lo stesso sia per la vendemmia manuale che quella meccanica. I grappoli idonei vanno separati da quelli di qualità non sufficiente, staccati dalla vite e messi in ceste; una volta che le ceste sono piene, l’uva è pronta per iniziare il suo viaggio in cantina. Un viaggio che la condurrà a diventare vino e poi grappa.
Ogni anno, la vendemmia varia il suo inizio in base a moltissime considerazioni, ad esempio il tipo di suolo, l’esposizione al sole della vigna e il tipo di allevamento: l’uva infatti deve essere matura. Quando l’uva è matura, è una questione dettata sia dalla natura sia dalla competenza del produttore, che può decidere di ritardare la vendemmia di alcuni vitigni per far loro acquisire determinate caratteristiche.
- Comunque, ad aprire le danze della vendemmia sono solitamente i vitigni bianchi, che maturano prima. In Piemonte, solitamente la vendemmia viene fatta iniziare con l’Arneis e il Moscato Bianco. É poi il turno dei rossi dolci, come il Brachetto e il Dolcetto.
- Arriviamo poi verso fine settembre, quando viene vendemmiata la Barbera, e infine, ad ottobre, viene raccolto il Nebbiolo: in base a un rigoroso disciplinare, diventerà vino Nebbiolo, Barbaresco, Gattinara o Nebbiolo.
- In alcuni stati, ad esempio in Germania, Austria e alcune aree dell’Italia settentrionale, i grappoli vengono lasciati sulla pianta fino a ghiacciare: è così che vengono prodotti gli Icewine, i “vini di ghiaccio”.
Dopo la vendemmia
Dopo la vendemmia, l’uva viene portata in cantina e qui viene utilizzata per la produzione del vino: per fare un ottimo lavoro in cantina è essenziale che l’uva sia fresca, non schiacciata, non bagnata. Inoltre, l’uva va selezionata e solo i grappoli migliori hanno l’onore di diventare vino: una prima selezione viene fatta in vigna, ma comunque in cantina si ricontrollano i grappoli e si scartano quelli difettosi. Inoltre, l’uva viene pulita dai raspi e dalle foglie che potrebbero inquinare il mosto con sentori indesiderati.